Ricordi del Maestro Biagino
Come erano festeggiati i santi patroni San Giuseppe e Santa Margherita fino ai primi anni dopo il secondo conflitto mondiale
Fin dal tempo dell’arciprete Don Giona Biagiotti il santo più festeggiato nel nostro paese era il compatrono San Giuseppe. Era allora molto fiorente ed attiva la Confraternita, sorta nel 500, che contava 150 confratelli ed a cui erano iscritti le persone più illustri del paese. La Santa protettrice era ricordata con una semplice novena seguita, dopo la Santa Messa del 20 luglio, da una processione senza banda. Non vi erano luminarie né fuochi d’artificio.
Il simulacro della Santa era piuttosto bruttino, ma forse più somigliante, da quanto si può costatare dal mosaico della stessa nella cupola che si ammira nel celebre santuario dell’Addolorata in Castelpetroso (IS).
Sempre il 19 marzo d’ogni anno san Giuseppe era festeggiato in modo molto solenne, anche in tempo di miseria (era sempre la Confraternita che organizzava i festeggiamenti).
Fin dal mese di giugno — luglio antecedenti la festa, in tutte le aie su cui si ammucchiava il grano, erano accantonate le “regne” offerte dai proprietari. Al termine della mietitura gruppi di donne volontarie accorrevano per la raccolta delle “regne” offerte e per scaricarle tutte in un’aia prestabilita per la battitura.
Da ogni parte giungevano i canti delle ragazze che si erano presentate per la raccolta ed era gioia grande per tutti. Ed ecco una schiera di giovani che si alternavano con i “vigli” (due lunghi bastoni snodati) a battere le spighe, altri a ventilarle per togliere la pula, altri ad insaccare il grano. Terminate queste operazioni il comitato, nel pomeriggio di una domenica, preparava un tavolo sul marciapiede antistante la Chiesa, vi appoggiava tre mozziconi di candela ed iniziava l’asta per assegnare il grano raccolto al migliore offerente. L’asta durava fino allo spegnimento dell’ultimo mozzicone di candela. Il banditore annunziava l’inizio dell’asta e man mano si alternavano le offerte che salivano di minuto in minuto. Alla fine il grano restava al maggior offerente. La stessa cosa avveniva con l’olio. In quel tempo c’erano tanti frantoi nel nostro paese e si produceva tanto olio. In ogni frantoio era posto un grosso recipiente in cui era versato l’olio offerto dai proprietari delle olive. La raccolta dell’olio era sempre molto abbondante sia perché la produzione, come dicevo, era molto ricca, sia perché la gente aveva una particolare devozione nei confronti del Santo che, secondo la loro fede, riteneva essere proprio San Giuseppe con la sua benedizione a rendere abbondante la raccolta delle olive. L’olio raccolto da tutti i frantoi era versato in appositi recipienti e venduto all’asta come avveniva per il grano.
Naturalmente quelli che rispondevano all’asta era gente che non produceva grano oppure olio, ma poteva disporre di una certa somma di denaro. Ed in quei tempi erano pochi quelli che avevano questa disponibilità.
C’era, infine, la raccolta delle offerte in denaro, ma era ben poca cosa!
Intanto, dovendosi prenotare la banda per due giorni (le orchestre non esistevano oppure non ci si pensava affatto), il comitato si preoccupava di avvicinare singoli cittadini che erano in grado di poter ospitare i componenti della banda per il pranzo e per la cena. Ma non c’erano difficoltà a riguardo perché le famiglie si sentivano liete di rendersi utili in questo servizio. Il maestro era sempre ospite del parroco.
Il palco era allestito sotto la lapide posta sulla parete del campanile, le luminarie erano a gas e le arcate, compreso il palco, erano addobbate con lauro e mortella.
In Chiesa la statua del Santo era esposta su un piedistallo e adornata con fiori e tante candele.
La novena era seguita con molta devozione da tanti fedeli. Gli ultimi tre giorni che precedevano la festa si esponeva l’Eucaristia fin dal mattino. Erano le famose “Quarantore” durante le quali due confratelli in divisa, alternandosi ogni due ore, restavano sempre in adorazione fino al termine della funzione serale. L’adorazione si prolungava fino al mattino della festa allorché si celebrava la Santa Messa seguita dalla processione. Questa abitudine rimase fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale.
La processione aveva luogo dopo il termine della Messa, verso mezzogiorno e percorreva tutto il paese ma non era seguita dalle Autorità.
Intanto, fin dal mattino, i giovani facevano a gara per poter portare a spalla la statua legando un fazzoletto ai paletti della pedana su cui era fissata. Per lo più erano i falegnami del paese che si offrivano a portarla essendo, San Giuseppe, il loro protettore. La “Romanella”, cioè il suono a festa delle campane, accompagnava ininterrottamente la processione durante tutto il tragitto: era una vera musica perché i campanari erano diventati dei veri professionisti.
A mezzanotte, al termine del concerto bandistico, c’erano i fuochi: uno spettacolo indimenticabile! Sempre due fuochisti in gara, sempre gli stessi: Volpi e Patriarca, della vicina Castelforte. Una Giuria segreta decretava il vincitore che riceveva un premio. Per due giorni la piazza si riempiva di bancarelle per la gioia dei bambini. Genitori e nonni erano molto generosi nei confronti dei loro figli e nipoti.
Alla morte dell’arciprete Don Giona e con l’inserimento nella parrocchia di Don Erasmo Ruggiero le cose cambiarono. E pur restando in auge la festività di San Giuseppe fu valorizzata la festa della protettrice Santa Margherita V.M. d’Antiochia con le stesse modalità di quanto avveniva per la festa di San Giuseppe, ma senza le Quarantore. Man mano che passavano gli anni il numero dei confratelli andava sempre più assottigliandosi e, quindi, acquistava sempre più prestigio la festa di Santa Margherita. Ed eccoci alla fine del secondo conflitto mondiale.
Qualche anno più tardi la popolazione sentì il bisogno di una grande festa, anche per ringraziare la Protettrice per lo scampato pericolo di gran parte delle persone.
Il Comitato si rivolse ai compaesani residenti all’estero, in particolare negli Stati Uniti, per avere contributi per realizzare la festività dal momento che le possibilità finanziarie dei cittadini di Coreno erano molto scarse. La generosità dei fratelli lontani non venne meno. La festa riuscì un capolavoro: il Concerto Bandistico di Gioia Sannitica diretto dal Comm. D’Ascoli, l’illuminazione a movimento, palco coperto e ricchi fuochi d’artificio. Dopo alcuni anni la Banda passò in secondo ordine ed ebbe il sopravvento l’orchestra con cantanti anche famosi.
Da pochi anni i giovani che tengono ancora in vita la Confraternita di San Giuseppe cercano di solennizzare il loro Patrono con un triduo solenne, Santa Messa e processione accompagnata da una Banda musicale e sparo di mortaretti.